3 figure contemporanee
Non c’è immagine al mondo che scuota gli animi come la
conversione di schemi che siamo soliti conoscere, creando quindi un possibile imbarazzo ai fruitori. Se solo pensiamo quanto fragore ha creato la “Morte
della Vergine” di Caravaggio, solo perché l'artista ha preso come modello una prostituta da poco trovata morta, non dovremmo
meravigliarci molto se artisti del calibro di Maurizio Cattelan ne hanno fatto il principio regolatore delle sue
creazioni. Tra le sue opere più
conosciute, “La Nona Ora”, una
scultura in lattice, cera, tessuto e scarpe in cuoio, che rappresenta il Papa
Giovanni Paolo II colpito da un meteorite.
Inizialmente la scultura era stata
pensata per stare in piedi. Non soddisfatto delle reazioni scatenate dal
pubblico Cattelan ha deciso di darle
l’effetto molto più scioccante della posizione sdraiata. Le sue sculture
si combinano spesso con la performance, ma nascono principalmente per prendersi
beffa delle sensazioni che scaturiscono dai fruitori, come può accadere con una pubblicità in tv.
Ed ecco che scatta indignazione per sculture come l’impiccagione dei tre bambini, oppure assoluto
silenzio se ci si trova di fronte a quella sfilza di corpi coperti da un
sudario (All). Infine quel ditone medio alzato contro la borsa di Milano
(L.O.V.E.).
Il britannico Damien Hirst conosce
bene cosa vuol dire provocare e sa come scuotere gli animi anche con installazioni
dall’aspetto decisamente semplicistico ma dal profondissimo messaggio che riescono a comunicare, come lo sono gli armadietti cosparsi di
un’infinità di medicinali (Pharmacy), pillole dai colori più svariati posizionati regolarmente sulle
scaffalature a specchio, a ricordarci di quante sostanze abbiamo bisogno per essere sempre in vita.
Tra le sue creazione che hanno creato più scalpore
troviamo gli animali sezionati ed immersi in vasche di formaldeide, e quello
più conosciuto è lo squalo di 5 metri (The Physical Impossibility of Death in
the Mind of Someone Living).
Non vogliamo ovviamente tralasciare il Diamond
Skull (For the Love of God), un teschio vero, umano, appartenuto ad un uomo del
18° secolo e tutto cosparso di diamanti. Un atto decisamente provocatorio per
prendersi gioco della morte e sorridere alla vita.
Se Cattelan e Hirst sono i principali detentori dello scettro della
provocazione, non possiamo quindi che eleggere Marina Abramovic regina indiscussa della performance. Nel suo caso la provocazione è
dettata da tutto quello che l’artista riesce a fare con il proprio corpo, tentando di raggiungere e superare i limiti stessi della carne.
Con
l'opera “Impoderabilia”, l’artista si pone assieme al compagno Ulay, entrambi nudi, all’ingresso della galleria,
costringendo così i visitatori a “strusciarsi” sui due corpi per
accedere allo spazio. L'imponderabilità di quello che accade, costringe lo spettatore a diventare parte attiva dell'azione, contorcendosi tra imbarazzo e divertimento. Per la Biennale di Venezia del 1997, presenta l’opera “Balkan
Baroque”, dove si posiziona su un cumulo di ossa di bovino e per otto ore, e attraverso
l’uso di una spazzola li ripulisce dalla carne: "Non si lava via il sangue dalle ossa, così come non ci si pulisce dalla vergogna della guerra".
Tutte le sue azioni pretendono
tanto l’intervento del pubblico, che qualche volta ha dovuto fermare la mano
dell’artista nelle sue dolorose performance. Inutile riprendere quanti
pensano come ultima performance dell’artista la sua stessa morte.
R.
Vindigni