sabato 21 giugno 2014

Aspettando Lucilla



Io non so dove dormi.
Se tra lisce lenzuola
o sull'erba, che è il pelo del mondo.

Non so dove sei, ma se sei,
un giorno sarai con me.

Io non so come respiri.

Se affretti o deceleri, 

so che c'è tanto mare laggiù
.

Guarda caso, io sono un pesce da 
abisso.


Maruska Nesti
(IMG:  Migranti  di L. Caridà)

giovedì 12 giugno 2014

"Questioni di famiglia" - qualche nota dal CCC Strozzina


Undici gli artisti internazionali invitati a rappresentare la loro idea di famiglia secondo una visione contemporanea presso l'ultima collettiva di arte contemporanea realizzata alla Strozzina di Firenze.
I diversi progetti fanno emergere particolari aspetti concettuali a seconda dell'artista, della sua specializzazione ed esperienza individuale.





La distanza dai propri cari è ciò che notiamo negli  scatti di John Clang che utilizza proiettare e completare dei video ripresi da Skype, in modo da fotografare i soggetti vicini come una foto di famiglia. Ciò tende a sottolineare, con una visualità di impatto, quanto nonostante le centinaia di chilometri di distanza e i mondi diversi in cui si vive quotidianamente, esista una dimensione di tempo fuori dal tempo, che vede la famiglia sempre insieme.



Chrischa Oswald tenta di rompere gli schemi della tradizionalità in due video opposti e speculari, dove, alternativamente, con la madre si lasciano andare a delle lunghe "leccate" dei loro volti, così come potrebbero fare dei gatti. La condizione di uomo-animale viene esaltata in questo gesto, con qualche fastidio nella visione e con molte cose da osservare tra la differenza dell'esecuzione del gesto tra madre-figlia e figlia-madre.







 Lo spazio nero di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini vuole invece sottolineare in diversi aspetti l'inesistenza di una vera famiglia: piatti rotti su un tavolo con posate disegnate, stencil alle pareti con quadro speculare che chiude un cerchio di persone o libri attaccati alla parte alta delle mensole di una libreria. Non può nell'attraversare questo spazio, non tornare alla mente la scenografia di Dogville e una certa tensione crudele all'interpretazione degli spazi famigliari e di ciò che è definita "casa". Sicuramente, questa installazione, è meglio comprensibile conoscendo la storia individuale dell'artista. 




C'è poi chi come Courtney Kessel ricerca un'equilibrio posizionando divesi pesi su un'altalena dove sta seduta la figlia.
Quello che ci ha fatto riflettere  maggiormente è l'equilibrazione del tempo individuale delle due personalità riprese. Crediamo sia ciò che viene  rappresentato in questo video. Partendo da un asse con i loro due corpi che fanno da contrappeso, la madre viene messa a terra dalla sua mole. Via via che al lato della figlia vengono sommati libri, colori, giocattoli interessi, il peso viene equiparato e si raggiunge quindi l'equilibrio dell'altalena, rendendo la figlia autonoma e indipendente dalla sola presenza della madre.
Un ottimo lavoro davvero!





Gli splendidi scatti di Nan Goldin narrano vite e ricordi.Raccontano di cose che spesso non ci aspettiamo di vedere, con una realisticità ottenuta da un uso sapiente della luce più che di ritocchi post-produzione. Molto interessante anche il video che correla l'esposizione fotografica, che ci fa riflettere su l'infanzia e la possibilità di renderla estremamente creativa.




Vedere le realizzazioni della Strozzina è sempre di gran riflessione, sia per i temi trattati che per la cura generale dell'esposizione.
Unica pecca è il concentrarsi troppo spesso solo su foto e video. Poter vedere anche delle ottime pitture e sculture non sarebbe male. Ma questa è più un'insensata richiesta personale.
Se capitate a Firenze quindi, non perdetevi quest'esposizione.


Rafael Vindigni - Maruska Nesti

Tutti i dettagli su www.strozzina.org

martedì 3 giugno 2014

* - Sonia Lambertini



Il maledetto vizio
della Cura.

La donna che c'è in me


non lo perde e liscia il pelo

si riempie la bocca
quasi a soffocare.
La donna che c'è in me

la vorrei fuori, un passo avanti

una spinta
ed ecco fatto.


Sonia Lambertini
[IMG:M. P. Settin, Violenza, 2012, materie plastiche cucite + inserimenti metallici]

martedì 29 aprile 2014

Forme Uniche

Forme Uniche -questo è il link fondamentale per farsi un'idea generale del progetto di cui andiamo a parlare.




Forme Uniche è un reportage fotografico basato su ritratti diretti, quasi scannerizzazioni di volti. Volti che raccontano incroci di razze, luoghi, modi pensare, di capire, di stare nella stessa città, calpestare gli stessi luoghi. 

Volti di persone incontrate per strada e nelle piazze di Firenze.
Il progetto è nato da un'idea di Francesco Gallo e poi supportato da Marco Pieraccini.
Entrambi,orgogliosamente ammettiamo, fanno parte dell'Associazione Culturale Psike.

La realizzazione nasce dalla voglia di raccontare la città di Firenze attraverso essa stessa, concentrando lo sguardo sul puro aspetto umano. 

Ogni contatto tra fotografo e soggetto genera una immagine, una breve storia individuale, tassello di una storia più ampia, di un ritratto collettivo. 
Siamo tutti strettamente connessi, ogni nostra azione si riflette irreversibilmente su chi ci sta accanto. 
In un tempo frenetico come il nostro che ci vuole veloci ed efficienti e ci rende individualisti, nervosi ed eccessivamente chiusi, l’invito è quello di sollevare lo sguardo per guardarci veramente in faccia, apprezzando l’unicità che appartiene ad ognuno di noi, irripetibili esseri umani.

Il progetto si svolge nelle principali piazze di Firenze, la realizzazione avrà una durata di circa tre mesi a partire da Febbraio 2014. Come traguardo sono stimate circa 500 immagini che saranno pubblicate sul sito di riferimento e raccolte in un’esposizione.


E poi l'evoluzione, Forme Uniche diventa una progetto multimediale!

Per la Notte Bianca Fiorentina, cioè domani 30 aprile e notte del 1° Maggio vi aspettiamo per la versione video  del progetto,  che sarà proiettato nell'Ex Chiesa San Carlo dei Barnabiti, in Via S. Agostino 23, a Firenze ovvio, molto vicino a Piazza S. spirito.

Benvenuti tutti. Ben voluti tutti.



martedì 22 aprile 2014

Vally Nomidou - scultura vulnerabile













 La serie "Let it bleed", è uno studio su giovani donne e ragazzine, che sorprendono, oltre all'aspetto realistico della figura rappresentata, per la tecnica utilizzata: carta riciclata!
L'artista greca Nomidou utilizza un materiale di basso costo e vulnerabile per creare le sue sculture, non limitandosi a rivestire il tutto come un involucro, ma creando con la stessa carta e cartone, assemblate con colla e filo, una struttura interna intrecciata che permette alla realizzazione finale di reggersi in piedi e durare nel tempo.


Le figure sono realizzate a grandezza naturale, studiando dapprima i soggetti tramite fotografie e calchi di gesso, mentre per le sfumature cromatiche non vengono utilizzati vernici o colori, ma solo la sovrapposizione delle carte genera una sorta di pelle che lascia intravedere parte dello strato sottostante.




I soggetti presentati dalla Nomidou raffigurano delle creature delicate (donne e bambine), allo stesso tempo intrise di poesia e innocenza, che ricordano molto le ballerine ritratte da Degas, anche se in questo caso tendono a sorprenderci con la loro immobilità, lasciandoci quasi in attesa di un loro possibile e istintivo movimento.
















Rafael Vindigni

Fonti:
vallynomidou.wordpress.com
www.artesera.it













venerdì 4 aprile 2014

La Retroguardia Senese: C'è un gran bisogno di follia e di gratuità



Photo- A. Benocci

In anni in cui si mercanteggia per le briciole e si cerca di cavar guadagno anche dai sorrisi, abbiamo bisogno dell'arte e ce n'è poca. Aveva ragione Terry May quando mi ammoniva: in giro ci sono molte opere e tantissimi creativi, ma di arte ce n'è sempre poca. Parafrasando il vecchio detto è come dire: gli artisti aumentano, l'arte no. La sintesi sta nella qualità. Non è mai stato così facile mostrarsi e mostrare ciò che si fa ed è un bene; d'altra parte, se tutti urlano chi ascolterà i sussurri? Mi è sempre sembrato impossibile che ci fosse un solo Galileo, o un Newton, un Bach. Quanti non ne abbiamo conosciuto perché sono rimasti sommersi dalla storia, dalle vicende personali, o anche solo dalla timidezza annoiata?


L'archeologia intellettuale è una scienza per pochi e si nutre di dettagli trascurabili. A breve, secondo i canoni dell'esistenza umana, si assottiglierà pesantemente il numero di coloro che potranno godere del fare arte con la pancia piena. Non sarà un bene, siamo nella curva più ripida della discesa: da decenni non si osserva un genio figurativo in azione. Ci sarà stato, ovvio, ma ce lo siamo persi tutti, lui stesso non se n'è accorto, o peggio non ci ha creduto nel tempio dei sedicenti. Questo è il momento di credere nell'arte, di spronare chi la produce. Sono anni in cui essere generosi, anni in cui bisogna finanziare, acquistare il bello. È sciocco e infame ritenere l'arte superflua, quanto lo è non ritenerla un investimento collettivo. Pensate ai primi decenni del secolo scorso, al connubio meraviglioso di filosofia e letteratura, intrecciate con le arti figurative. Non sono proprio quelli gli anni delle grandi scoperte scientifiche? Ancora oggi si dimostrano le validità ardite delle teorie delle menti di allora. Io penso che quello specifico periodo storico, fatto di inventiva sferica e di tremenda crisi economica, sia stato l'innesco ideale. Tirate dentro la pancia e grattate la terra, credete in voi stessi e negli altri, ci urlano quei decenni magici.

Intorno vedo avvoltoi sazi che giocano allo strazio dei pulcini. Uccidere è naturale, torturare è umano. Mi rivolgo agli artisti: quando dovete scegliere tra svendere un'opera a chi non la saprà amare e bruciarla, ardetela in pubblica piazza, spaccatela, mangiatela, vi priverete di molto, ma accenderete un enorme impulso nei titubanti. Penso ai mercanti d'arte: non è forse vero che quando muore il cane di lì a poco anche le pulci non se la passeranno troppo bene?

Veniamo alla mostra. Ho pensato a La Retroguardia Senese come a un vetrino da microscopio, un esperimento scientifico la cui validità sta molto nella capacità di scegliere un campione significativo. Le conoscenze si muovono su piani non casuali, potrebbero ricordare il clinamen degli atomi nella filosofia epicurea, cui alcuni vollero persino affibbiare un senso di religiosità. Siamo avvicinati a chi dobbiamo incontrare? In un certo senso mi è capitato proprio questo ed ho deciso di trasformare questa attrazione in una mostra.

Le opere degli artisti esposti trasudano umanità e in virtù di questo risentono del passato che li ha nutriti e colpiti. Lo sperimentare continuo di Adriano nel suo scavare pozzi di buio negli sviluppi delle fotografie: quando tutti scattano, il fotografo fa un passo indietro, torna all'artigiano. I colori di Don Manuel Bueno Martire che così vorticosi e sessanta intasano i pensieri di figure accennate in un reale scialbo e arrendevole. Le ricerche che sfociano nell'improbabile di Niccolò Cozzi, reporter del quotidiano; particolari che egli cattura e ripropone ad un mondo che se li è persi. Saecula saeculorum l'opera senza tempo di Gaia Inglesi, sarebbe stata bella cento anni fa, lo sarà tra cent'anni. Il medioevo che risorge dal fuoco purificatore dei carboncini di Irene Raspollini: fucina di creatività e rigenerazione. La sua madonna ospita, istiga e trae linfa serafica dalle vicende caotiche di un umano simbolico e metaforico.

L'allestimento non vuol far nulla per armonizzarli, sono come gli amici che si ritrovano a una cena informale. Le loro voci risuonano attraverso la galleria, creando ognuno un perfetto assoluto relativo.

Sandro Fracasso

E'  possibile visitare la mostra con appuntamento: questo il link da seguire per maggiori informazioni Casa là Farm Gallery


sabato 22 marzo 2014

Una risata ci disseppelirà - Yue Minjun


“La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza.”

Questo è solo uno dei motti di Mao Tse Tung negli anni della sua Rivoluzione Culturale in Cina. Anni 1950-1970 per intenderci. Libretto Rosso per intenderci. Usare il popolo per combattere guerre interne al partito anche, ma questo è un altro discorso, adatto agli appassionati di storia.



Chissà quanto questa e altre direttive ideologiche hanno poi influenzato Yue Minjun e le sue opere. A mio parere, a parere di tutti, perfino dell'artista, ne sono la matrice basilare. Noi occidentali, delle idee del maoismo ne abbiamo poi fatto piccoli fuochi fatui di pensiero nel 1968.

Yue Minjun, nato nel 1962 proprio nei favilli propagandistici di Mao, ormai è conosciuto in tutto il mondo per le sue opere che rappresentano questo o questi volti sorridenti all’estremo.
Nel suo caso si può sostituire la parola rivoluzione con la parola risata.
Proviamo.




“La risata non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia, la risata è un atto di violenza.”










Si violenza. Ed è divenuta sempre più espressione di violenza nella maturazione della sua ricerca artistica dagli anni ’80 (in cui i soggetti rappresentati erano amici sempre sorridenti rappresentati in modo realista, con un’indole al fumettistico che va collegata ai manifesti propagandistici di quel periodo in Cina), agli anni ’90 ( quando inizia ad usare come unico soggetto il suo autoritratto conservando il realismo delle forme e dei colori), proseguendo poi il suo lavoro deformando i rapporti col reale: bocche enormi e spalancate, denti sovrastimati, occhi chiusi, strizzati, cambia il colore della pelle che diviene ancora più reale. 


Gli ultimissimi lavori del 2012 ripropongono sempre il suo ritratto, ma deturpato alla Bacon.

Dietro la sua opera unica e facilmente identificabile si può ritrovare la tradizione artistica cinese, con la sprezzante natura orientale, ma si può notare anche un’influenza magrittiana ed europea.


Yue Minjun spiega così la sua scelta del sorriso: “Per la cultura cinese sorridere è segno di gentilezza e d’accoglienza, in Cina c’è una lunga tradizione del sorriso. C’è il Maitreya Buddha che predice il futuro e la cui espressione è il sorriso. Normalmente si dice che si deve essere ottimisti e sorridere alla realtà . Durante il periodo della Rivoluzione Culturale c’erano dipinti sullo stile dei poster sovietici che mostravano persone sorridenti, ma ciò che è interessante è che ciò che si vedeva in queste immagini era quasi sempre l’opposto della realtà”.





Ed ecco che lui ne crea una parodia, ironizzando su se stessi e sui processi di massificazione, l'omologazione forzosa di idee, gusti e opinioni in tutti i campi intellettivi, pratici , di stile di vita insomma. Mettendo in scena il proprio volto, maschera di ognuno, ci fa riflettere su quanto è importante conservare la nostra individualità e la nostra libertà di pensiero ed espressione.


Vorrei concludere con alcuni aforismi perché spesso la parola accostata all’arte figurativa aiuta una riflessione più profonda e più caleidoscopica.


Chi ha il coraggio di ridere, è padrone del mondo. Come chi ha il coraggio di morire - G. Leopardi

Si conosce un uomo dal modo in cui ride - F. Dostoevkij

Il riso è il profumo della vita in un popolo civile - A. Palazzeschi

Credo che il ridere sia il vero segno della libertà R. Claire

Fate attenzione agli uomini che non ridono, sono pericolosi - Giulio Cesare

In nessun caso è tanto facile essere indotti al riso come quando si è tristiCartesio



 E soprattutto nel caso di Yue Minjun  trovo le parole di W. Goethe molto appropriate:

Nulla rileva meglio il carattere degli uomini di ciò che essi trovano ridicolo.



 Maruska Nesti




lunedì 3 marzo 2014

Louis Bougeois – Autoanalisi Lucida




In una bella intervista rilasciata qualche tempo fa a Christiane Meyer-Thoss, Louise Bourgeois, scultrice, nata a Parigi nel 1911, ma residente a New York dal 1938, invitata a rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia di quest’anno, ha dichiarato: 
La storia della mia carriera è stata questa. Per molti anni, fortunatamente, i miei lavori non si sono venduti né per profitto né per altre ragioni. Io ero molto produttiva, perché nessuno cercava di copiare il mio alfabeto. Ne avevano sentito parlare, perché nel corso degli anni qualche mostra l’avevo fatta, ma non avevo venduto. E in America vendere equivale a avere successo. La mia immagine è rimasta tutta mia e di questo sono molto riconoscente. Ho lavorato in pace per quarant’anni. La produzione del mio lavoro non ha avuto niente a che vedere con la sua vendita. Su di me il mercato continua a non avere alcun effetto, né in positivo né in negativo”.


Prolifica, solitaria, controcorrente, in tutti questi anni Bourgeois ha tenacemente fatto della sua ricerca artistica il luogo dichiarato di una lucida autoanalisi. Convinta della necessità di non rimuovere, di non distrarsi da sé e dell’utilità, ancor meglio dell’inevitabilità, di fare i conti con il proprio passato, con i fantasmi dell’infanzia e della vicenda familiare oltre che con le tracce da essi inscritte nel corpo, l’artista ha scelto la scultura come mezzo di anamnesi e insieme di espressione. 

Indifferente alle mode culturali e alle tendenze artistiche che hanno via via dominato il nostro secolo, eppure di esse assai avvertita, ha perseguito una sua strada che solo verso la fine degli anni settanta ha incrociato il gusto e le nuove direttive del mercato dell’arte. È così che, a settant’anni compiuti e senza mai essersi allontanata da una sua privata e rigorosa linea di ricerca, Louise Bourgeois si è trovata a rappresentare al livello più alto tanto il discorso estetico oggi prevalente quanto i nuovi umori politici e sociali.*






La descrizione sopra, e le dichiarazioni delle sue interviste, ci restituisco perfettamente la visione di quest'artista che ha fatto di tutta la sua creazione l'analisi della sua vita, della sua memoria. 

Quello che più mi sorprende è come, nonostante la conoscenza del mondo artistico che poteva circondarla in quegli anni, continua a perseguire la propria via senza sentire la necessità di invertire o modificare i propri mezzi. Credo però che possiamo cogliere il suo profondo e radicato concetto, in un suo intervento degli anni novanta, dove asserisce con durezza l'impossibilità di insegnare a diventare artisti, 

“...Come lo si può insegnare?...Si può solo accettare o rifiutare questo dono. Non è un mio potere, né è mia responsabilità, o tanto meno mia intenzione, perseguire l'impossibile obiettivo di insegnare a qualcuno a diventare artista”.
Un dono. Ecco come definisce la sua potenza nel creare.
Si può insegnare la tecnica, far fare molta pratica, condurre qualcuno ad avere perfino una grande produzione, perché solo “l'opera può insegnare qualcosa, non l'artista. Un buon numero di artisti sono molto stupidi, sa” (in risposta ad una domanda di Francesco Bonami).

“...E' come provare ad aprire una porta con la chiave sbagliata. Non c'è niente che non vada nella chiave e tanto meno nella porta. Ci sono domande cui è troppo doloroso rispondere. E altre ancora cui è impossibile rispondere”.

Rafael Vindigni

Fonti
* Maria Nadotti, Prove d’ascolto. Incontri e visioni, Edizioni dell’asino, Roma 2011
Artribune, anno IV, numero 17, 2014