mercoledì 7 novembre 2012

Francesca Woodman: quello che le foto non dicono



"Ho dei parametri e a questo punto la mia vita è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza di caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate". Sono i pensieri spassionati di una giovane donna, così "artista" - sensibile, profonda, irrequieta - da non riuscire a convivere con l'intensità dell'esistenza. Sto parlando di Francesca Woodman (1958-1981) che a soli 22 anni si tolse la vita buttandosi da un grattacielo di New York. Figlia di artisti americani, cresciuta in una casa con vista su Santa Maria Novella a Firenze, ma con un frequente "va' e vieni" dall'America, la Woodman racchiude il suo complesso mondo interiore nelle fotografie, tutte rigorosamente in bianco e nero. Nel 1975 si iscrive alla "Rhode Island school of design" ma il periodo di studio che trascorre a Roma - maggio 1977/agosto 1978 - è il momento più magico e formativo.
Protagonisti delle sue immagini, lei e il corpo: quasi sempre nudo, forse simbolo dell'impotenza davanti all'aggressività della vita. Si spalma contro pareti spoglie e rovinate dal tempo, si nasconde dietro gli oggetti o diventa un tutt'uno con essi; si specchia e si confonde col proprio riflesso, viene bloccato dallo scatto della macchina fotografica proprio quando sta per allontanarsi. E resta solo un timido riflesso di una presenza angelica. Un corpo fugace quindi, a volte seminascosto da un velo o in parte celato da un abito, che nel momento stesso in cui appare si sfuma, perde consistenza e diventa un'ombra confusa. 

Francesca Woodman, che a 23 anni aveva paura di invecchiare e temeva la solitudine, riusciva a creare ritratti perfetti delle sue paure e, inquadrandoli, li rendeva immortali, alla portata di tutti. E per sempre. Ma le sue opere non sono tragiche, anche perché formalmente troppo eleganti; sono, semmai, magnetiche e oscure al tempo stesso perché suggeriscono verità incomplete, accennano a emozioni che si possono soltanto percepire e mai comprendere fino in fondo. "Ti ecciterai, caro amico, osservando un'immagine, ma non saprai mai che cosa vi è dentro" scriveva la giovane artista, regalando la più acuta presa di coscienza sull'universo che si nasconde nella fotografia. Ma dove dobbiamo ricercare, allora, il senso del suo suicidio? Non nel
malessere giovanile, né nelle crisi creative e neppure in una presunta instabilità mentale. La Woodman è sempre stata lucidissima e intellettualmente assai precoce. Si tratta, quindi, di un gesto tangibile che pone fine alla sua ricerca. Folgorata dal mal di vivere, decide che è meglio preservare la commovente delicatezza (interiore, artistica) degli anni vissuti e non rischiare di sporcarla. Una scelta opinabile, ma pur sempre una scelta.
Michela Silla
[IMG. F.Woodman]

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