venerdì 13 luglio 2012

L’arte della provocazione


3 figure contemporanee

Non c’è immagine al mondo che scuota gli animi come la conversione di schemi che siamo soliti conoscere, creando quindi un possibile imbarazzo ai fruitori. Se solo pensiamo quanto fragore ha creato la “Morte della Vergine” di Caravaggio, solo perché l'artista ha preso come  modello una prostituta da  poco trovata morta, non dovremmo meravigliarci molto  se artisti del  calibro di Maurizio Cattelan ne hanno fatto il principio regolatore delle sue creazioni. Tra le sue opere più  conosciute, “La Nona Ora”,  una scultura in lattice, cera, tessuto e scarpe in cuoio, che rappresenta il Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite. 


Inizialmente la scultura era stata pensata per stare in piedi. Non soddisfatto delle reazioni scatenate dal pubblico Cattelan ha deciso di darle  l’effetto molto più scioccante della posizione sdraiata. Le sue sculture si combinano spesso con la performance, ma nascono principalmente per prendersi beffa delle sensazioni che scaturiscono dai fruitori, come può accadere con una pubblicità in tv.


Ed ecco che scatta indignazione per sculture come l’impiccagione dei tre bambini, oppure assoluto silenzio se ci si trova di fronte a quella sfilza di corpi coperti da un sudario (All). Infine quel ditone medio alzato contro la borsa di Milano (L.O.V.E.).


Il britannico Damien Hirst conosce bene cosa vuol dire provocare e sa come scuotere gli animi anche con installazioni dall’aspetto decisamente semplicistico ma dal profondissimo messaggio che riescono a comunicare, come lo sono gli armadietti cosparsi di un’infinità di medicinali (Pharmacy), pillole dai colori  più svariati posizionati regolarmente sulle scaffalature a specchio, a ricordarci di quante sostanze abbiamo bisogno per essere sempre in vita. 


Tra le sue creazione che hanno creato più scalpore troviamo gli animali sezionati ed immersi in vasche di formaldeide, e quello più conosciuto è lo squalo di 5 metri (The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living). 


Non vogliamo ovviamente tralasciare il Diamond Skull (For the Love of God), un teschio vero, umano, appartenuto ad un uomo del 18° secolo e tutto cosparso di diamanti. Un atto decisamente provocatorio per prendersi gioco della morte e sorridere alla vita.


Se Cattelan e Hirst sono i principali detentori dello scettro della provocazione, non possiamo quindi che eleggere Marina Abramovic regina indiscussa della performance. Nel suo caso la provocazione è dettata da tutto quello che l’artista riesce a fare con il proprio corpo, tentando di raggiungere e superare i limiti stessi della carne. 


Con l'opera “Impoderabilia”, l’artista si pone assieme al compagno Ulay, entrambi nudi, all’ingresso della galleria,  costringendo così i visitatori a “strusciarsi” sui due corpi per accedere allo spazio. L'imponderabilità di quello che accade, costringe lo spettatore a diventare parte attiva dell'azione, contorcendosi tra imbarazzo e divertimento. Per la Biennale di Venezia del 1997, presenta l’opera “Balkan Baroque”, dove si posiziona su un cumulo di ossa di bovino e per otto ore, e attraverso l’uso di una spazzola li ripulisce dalla carne: "Non si lava via il sangue dalle ossa, così come non ci si pulisce dalla vergogna della guerra". 


Tutte le sue azioni pretendono tanto l’intervento del pubblico, che qualche volta ha dovuto fermare la mano dell’artista nelle sue dolorose performance. Inutile riprendere quanti pensano come ultima performance dell’artista la sua stessa morte.



R. Vindigni