lunedì 25 novembre 2013

Quella notte




Giovanna mi prese la mano destra. Lo fece d’istinto, non mi guardava negli occhi, guardava le mie mani torturarsi, tirarsi, scrocchiarsi nervose. Cos’ era che guidava i miei nervi quella notte lo so solo in parte.



La giornata era stata quasi statica: autobus in ritardo di pochi minuti, pioggia leggera da fine ottobre, un profumo forse più intenso di mele fritte dalla friggitoria all’angolo col mercato di San Lorenzo, prima di entrare in ufficio. I colleghi erano, come me, persi nel riassestare un lunedì che non prometteva sorprese noiose, tipo chiusure di bilancio che devono tornare, pagamenti di F24 in cui il codice è un rebus o calcoli di pensione per appena maggiorenni. Si poteva tranquillamente guardare le foto del fine settimana di amici e conoscenti sui social network. Magari scrivere anche qualche facezia per far ridere un po’ tutti.

Il pranzo al bar con il collega filantropo era passato. Avrei voluto scolarmi un litro di vino rosso e corposo, ma lui ha ordinato prima di me un’aranciata amara, allora anch’ io mi sono piegato al bon-ton di una bottiglietta d’acqua naturale temperatura ambiente. Grazie! La minigonna della responsabile amministrativa nel pomeriggio era salita un po’ più su, ma niente che facesse drizzare i morti dalle loro bare. Volgare, come la scritta sconto cinquanta per cento su un vibratore usato una sola volta. Tornando a casa avevo incrociato gli occhi di troppe passanti. Una volta le donne camminavano a testa bassa. Dovrei trasferirmi nello Yemen cazzo! 

Giovanna non portava mai la biancheria intima quando era in casa, tranne ovviamente in quei giorni. Era una geisha timida e fin troppo servile. Se glielo avessi insegnato io ad essere così, i suoi modi non mi avrebbero dato nessun fastidio. Invece no, l’avevo trovata già fatta, già formata. Educata da se stessa, diceva lei. Non sono mai stato capace di crederle.

 L’amavo, si credo di si. 

L’amavo come si poteva amare un cane trovato un giorno di pioggia per strada. Vedi quegli occhi che, anche se sono piccoli come cimici, sembrano palle da biliardo per il senso di colpa che ti fanno scaturire nell’animo. Alla fine quando ci siamo conosciuti lei non era molto diversa da un cane abbandonato. Ferita da un altro, elemosinava amore in quei locali in cui vai o per ubriacarti o per conoscere qualcuno che non conosci. Lei era astemia. Io mi ubriacavo. Di brutto anche. Le rovesciai un cuba libre sul vestitino giallo senape, leggero come un velo. Finimmo a letto a casa mia e quando mi chiese se poteva dormire con me oramai io russavo già da un pezzo.

Non se ne è più andata. Non dava fastidio. Cucinava del buon cibo, rispettava i miei turni in bagno e si, la casa era molto più pulita. Aveva un buon lavoro anche: responsabile del personale in una catena di alberghi a quattro stelle. Provò anche a raccontarmi di lei, della sua infanzia, delle sue passioni. Era una brava ragazza.

Quella cosa del camminare per casa senza intimo però non l’ho mai tollerata. Glielo avevo detto più volte, ma lei rideva, rideva, pensava nella sua povera testolina che fosse un gioco erotico. Non ho mai tollerato troppa libertà e sicurezza nelle donne. Nello Yemen cazzo dovevo nascere! Così, quando Giovanna mi prese la mano destra, quella notte, io con la sinistra le strinsi il collo. Fu istintivo anche il mio gesto, non riflettevo, seguivo un’immagine vista più volte in quei mesi nella mia testa. Poi mi liberai dalla sua carezza premurosa e anche la mano destra si uncinò al suo collo. I suoi occhi erano un lago di acqua e in un minuto o poco più, divennero una palude stagnante, svuotata dai pesci, gli anfibi, le alghe e i sassi. Cadde a terra e,nello schiantarsi sul pavimento, il vestito color nocciola che aveva addosso si sollevò fino alle anche ossute. Nuda. Completamente nuda. 

Neanche da morta mi portava decenza.


Maruska Nesti



venerdì 22 novembre 2013

Ron Mueck - Più reale del reale











Nasce in Australia da genitori tedeschi, e dopo aver girato per gli Stati Uniti, vive a Londra, e per almeno vent'anni possiamo considerare che non ha avuto nulla a che fare con il “mondo dell'arte”.



In realtà l' antecedente esperienza di Ron Mueck è nel mondo del cinema e della pubblicità (ricordo film come “The Storyteller” e “Labyrinth”), per cui realizzava  gli effetti speciali utilizzando siliconi e materiali acrilici, che lo hanno condotto ad un padronanza unica nel suo genere.

Tra il 1996 e il 1997 decide di applicare queste sue tecniche in altri ambiti, e così nel 1997 Ron Mueck fa un grande ingresso nel campo dell'arte con la mostra “Sensations: Works of art from the Saatchi Collection” alla Royal Accademy di Londra, una collettiva che contava altre importanti figure come Damien Hirst, Jenny Saville, i fratelli Chapman, ecc.


Le sue sculture sono molto più che la semplice rappresentazione del corpo umano, dove ogni singola parte di pelle, ogni singolo brufolo e ogni singolo capello viene analizzato, per giungere ad una figura a cui manca solo l'alito vitale.
La maggior parte delle sue scultura è ripresa in momenti privati e importanti, come potrebbe essere una gravidanza allo stadio avanzato o una fase dell' invecchiamento, degli attimi intimi di coppia o semplicemente un autoritratto dell'autore con occhiali da sole e costume, che se ne sta su un materassino a galleggiare nel vuoto.
Ma le sue opere non presentano mai tratti violenti o scene di sesso. Ron Mueck si limita a rappresentare semplicemente quello che lo circonda, quello che può circondare chiunque, con delle sculture di dimensioni piccole o gigantesche, in un atmosfera carica di silenzi e scambi di sguardi.



Rafael Vindigni
Fonti varie

domenica 10 novembre 2013

Corpus Hominis: quattro sguardi sotto l’epidermide


Dettagli

Cominciamo dall’inizio. La doppia vetrina della Galleria Simultanea si affaccia su una Via San Zanobi abbastanza movimentata. Firenze ha il suo bel traffico di motori, piedi e volti.

La mostra attualmente allestita nelle tre stanze della galleria si intitola Corpus Hominis – il corpo dell’uomo – e sarà visitabile fino al 13 Novembre 2013.
A curarne la selezione degli autori e delle opere, come l’allestimento, sono stati Alessio Santiago Policarpo e Carina Hörner.
Pareti bianche d’intonaco e una cassa in legno, nessun altro orpello, si lascia così alle opere il meritato spazio per essere guardate e studiate. L’illuminazione è buona e questa è una cosa che apprezzo sempre molto in un’esposizione.
Corpus Hominis, un titolo che riporta in maniera diretta al Corpus Domini, la solennità che celebra la reale presenza di Cristo nell’eucarestia. Gesù è lì, nell’ostia data ai fedeli. Quindi anche l’Uomo, l’essenza più profonda dell’umanità risiede lì, in queste opere che contengono il nostro corpo.
La mostra è una collettiva di giovani artisti che nelle loro opere hanno rappresentato l’ancestrale dialettica tra materia e spirito, corpo e anima, attraverso ricerche individuali e artistiche molto differenti, sia nei messaggi che scaturiscono dalle loro opere, sia per le diverse tecniche usate.
Si passa dai dipinti di fumo su vetro o plexiglass di Giovanni Serafini, alle polaroid di Azzurra Guerrini, dal dipinto di Edoardo Figara, con tutto lo studio di bozzetti precedente l’opera, fino alle incisioni di Lucrezia Traversi.
Si sa, è cosa nota, il corpo è sempre stato al centro delle arti visive fin dalla notte dei tempi. Esso è il centro stesso dell’esperienza creativa, sia nella ricerca della riproduzione manieristica, nel senso di una ricerca della perfezione formale, sia come movimento verso la trascendenza e il superamento dei limiti stessi della corporeità. Ancora oggi vedo che è così.
Come dicevo all’inizio, cominciamo dall’inizio.


Nella prima sala troviamo le opere di Giovanni Serafini, giovane artista, ricercatore in Storia dell’Arte Moderna presso l’Università di Siena e appassionato di psicologia junghiana e teologia cristiana: tre pannelli in plexiglass (Esaltazione;Speranza; Pazienza, 2011) e uno in vetro (Autos Galeotto, 2011). Nudi maschili creati con una tecnica molto interessante: le immagini sono impresse su queste superfici trasparenti con l’annerimento che provoca il fumo di candele o accendini. L’effetto liquido ricorda la china, ma è a livello sia di risultato che di contenuto che il lavoro del Serafini acquista spessore e valore. L’effetto ottenuto ricorda in maniera chiara l’uso delle ombre del Caravaggio e i soggetti ritratti, oltre ad essere riconducibili ad autoritratti, hanno netti richiami a temi classici come San Sebastiano e il sileno Marsia, scuoiato per la sua superbia dal Dio Apollo.
Le immagini sono disegnate con precisione, quasi come impresse su carta fotografica lungamente esposta.



Il tema del “due” che l’artista concettualizza nella sua opera è legato alla figura umana e si riconduce a un esistenzialismo di radice cattolica: la fragilità della bellezza della vita umana, degli affetti, della materia; la lacerazione tra l’abisso del nichilismo e l’impossibilità di afferrare l’idea del divino; la vanità delle apparenze, quasi sempre punite.
Ma è nella tecnica usata che mi piace soffermarmi, nella sua unione tra realizzazione, metodo e significato nascosto. L’annerire col fumo una superficie trasparente, riconduce al bruciare delle nostre energie umane verso la realizzazione di un ruolo, di una identità che si vede poi limpidamente all’esterno con le sue macchie e le sue luci. Un disegnare se stessi su una tavola spirituale che poi mostreremo agli altri e a Dio. Rimangono spazi bianchi che abbagliano e oscurità che cancellano virtù e alimentano il mistero della nostra complessità umana.





Salendo un gradino arriviamo nella seconda sala, sui muri intonacati di bianco la serie di polaroid “ Corpi e Anticorpi” e il collage fotografico “Ermafrodito” di Azzurra Guerrini, ventitreenne studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Firenze.
“Ermafrodito”, a colpo d’occhio, è il primo che cattura l’attenzione. Due corpi uno maschile, fotografato di spalle, e uno femminile, fotografato frontalmente, montati a costruire un unico corpo senza testa né gambe. L’effetto di corpo unico è molto riuscito: i due modelli ritratti sono gemelli, con tratti fisici quindi simili. L’intento dell’artista è trasmettere quel senso di doppia sessualità che ormai caratterizza la nostra formazione sociale dopo la perdita dei ruoli classici dell’era pre-moderna. 

La convivenza in ognuno di noi di entrambe le caratteristiche tipiche di genere che vivono in un equilibrio costruito incollando e conoscendo il dettaglio. La serie di “Corpi e Anticorpi” è composta da due fotografie di maggiori dimensioni che ritraggono un corpo maschile di schiena, che ricorda lo studio sui corpi di Mapplethorpe, ma con una particolare intensità sulle mani che sembrano riprese su un altro piano; e un corpo di donna, frontale, sensuale, in cui i dettagli della stampa sono molto ben definiti.
Interessanti anche le altre polaroid della stessa serie, di dimensione più piccole, in cui un corpo nudo di donna di sposta su un letto con lenzuola bianco, non occupandolo mai totalmente, anzi conquistando angoli con solo particolari, ginocchia, sedere o schiena. La Guerrini racconta la sua poetica come un percorso turbolento e irrequieto iniziato durante l’adolescenza e che l’ha portata a non aver nessun preconcetto sulla nudità, la quale da lei è considerata più che un’idea di ricerca di bellezza, una ricerca di cose che destano interesse 
oltre le esacerbate volgarità e ovvietà che ci circondano.

Adesso attraversiamo la porta senza porta ed eccoci nell’ultima stanza che ospita i lavori di Lucrezia Traversi e di Edoardo Figara.



Lucrezia Traversi
, pittrice fiorentina ventiduenne espone tre suoi lavori: un dipinto e due incisioni. Il dipinto“Belladonna” ritrae una donna sinuosa, sensuale e carnale che svela nella sua nudità un arcano pericolo. L’essenzialità del corpo corrisponde ad un veicolo che talvolta inganna e si/ci nasconde. Il titolo di quest’opera richiama una pianta usata in omeopatia per scopi curativi, ma che nella sua forma naturale è velenosa, anzi letale. Le due incisioni “Lo spettro” e “La nascita di Venere” dimostrano le competenze tecniche dell’artista. In “Lo Spettro”, una figura femminile parzialmente nuda, quasi incorporea, si mostra coperta da uno scudo quasi deformato dal soffio vitale che scaturisce dall’anima umana della donna. Lucrezia Traversi presenta, a differenza degli altri due artisti per ora presentati un lavoro più classico. Ella ritiene che l’arte sia un concetto universale e condiviso prima che personale. I suoi lavori sono frutto di pensieri e visioni che trovano forma nell’arte classica, rinascimentale e barocca.




E poi sulla parete di fronte, il quadro – acrilico su juta – di Edoardo Figara, grossetano studente all’Accademia di Belle arti di Roma.
Crocifissione opera ideata e creata specificatamente per questa mostra. I richiami nella tecnica alfuturismo, svuotato dalla concettualità ideologica di quel movimento, ma presente nel tratto e l’ispirazione ai volti taglienti di Francis Bacon sono ben mescolati a una componente ideativa e di realizzazione personale. Un bacio conturbante che due individui si scambiano proprio all’altezza dei genitali della figura principale crocifissa senza chiodi. Quasi auto-immolata. L’artista lontano dal voler provocare o scandalizzare, rappresenta la corporalità in due suoi sentire antitetici: il dolore e il piacere. Molto interessante la serie di bozzetti dello studio al dipinto: lupi-angosce da cui fuggire, contraendo il corpo, particolari di muscoli o di 
posizioni sessuali.



Ok, adesso esco. Torno nel buio del pomeriggio, nei fari, nelle luci arancioni e verdi, nel groviglio di corpi in movimento verso un qualcosa, un obiettivo che sia anche solo se stessi. C’è rumore fuori. Dentro era tutto così silenzioso.
Poi penso: “Ogni artista riesce a creare, partendo da una similare base genetica di neuroni sensitivi recettivi, unici immaginari di visione e percezione sulle cose del mondo. Elabora informazioni comuni a tutti per estraniare un senso altro. Spesso non visto."
Quante storie che conoscono i corpi degli uomini.




Maruska Nesti