venerdì 1 aprile 2011

L’inganno delle passioni: i tre veleni

Come una piega di rame, come una gota d’immobile in movimento da destra a sinistra lo schiaffo. Come porgerti un’altra scappatoia. Come il gocciolar delle dita sulla presa e il dorso..appena arreso. Impressa. A precipitar da questo infinito sul cemento appena armato dei tuoi occhi. L’ordine di rimanere con due braccia due gambe e la testa a fingere un’impronta. Così delineata d’essenziale, così raccomandata dalle Sue mani, fui motivata dalla mia mente a credermi distorta come un’ombra sulla parete. Ho desiderato. Così brevemente ancor simile alla roccia. Stretta e mai mossa, ho percepito i tuoi occhi come una rivolta. Scossa dai luoghi cosi estranei a quei volti, fui spinta infine ai margini del foglio. E ho sentito con queste dita la rabbia allargare le mie ossa all’ultimo respiro prima di saltarti alla gola.
Credo piovve per diverse ore. Le pareti si dipinsero di blu notte, cessarono le attività tutto intorno, finirono anche le parole e la voce si fece sottile, come il suono di una matita su carta. Tagliando corto sul totale, la linea divise i feriti dai morti e dai dispersi, lasciando le mie gambe dondolare sul ponte di blackfriers.
Ignorare fu l’errore. Queste distorsioni che ti rendevano migliore. Il movimento del caffè dentro il vetro leggermente macchiato, il suono all’azione, le pozze d’acqua, il silenzio della notte, l’attrito di una mano, la pelle che non vuole dimenticare, il sapore di un arrivederci, il colore degli occhi davanti allo specchio, l’espressione del tempo, la vicinanza delle labbra, il rumore del dissenso, il lento scivolare di un mi minore e ancora il suo precipitare dentro un assolo. Come fuggire lo sguardo quando il giallo acceca la vista e ancor prima la mente ne confonde la forma. Così, a ritroso galleggiare, fingendomi morta per non affogare, quando non hai più la percezione di quanto vicine o lontane siano le braccia di tua madre. Preme. Me lo disse il dottore. D’immonde pance gonfie, tutto intorno, un girotondo di pezze armate contro il mio urlare senza voce. Me lo disse il sacerdote, chiamato sul fronte, che la guerra non produsse morti, solo deformi. Molti assenti giustificarono la fuga, fu un ritardo del treno, un grattacapo di colpe. Una dichiarazione di ossa, a ricomporre, mi ritrovai con un femore nel braccio. A rimproverare le ore, di un mutevole , lento, incondizionato amore.



Stefania Rubeo

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