mercoledì 13 aprile 2011

Pinar Yolacan

L'età è violenza. Si tratta di violenza come potenza, e potenza come inevitabile prepotenza.
Le donne nelle immagini della serie Perishables (deperibili) (2004, Pinar Yolacan) indossano questa età in un modo che evoca sensazioni forti. Disgusto? Umiliazione? Ma perché? Perché indossare della carne è così sconvolgente? Dobbiamo interpretare che qua per l’artista la carne è solo una continuazione di ciò che siamo, e ciò diventa sacro o profano soltanto in base a come desideriamo vederla. Perché ci sembra così intensamente profano? Perché è rivoltante? Le donne presenti in queste immagini eppure non sembrano imbarazzate. Al contrario, sanno chi sono. E forse proprio a causa della loro posizione incredibilmente stoica, raggiungiamo un altro punto - di accettazione, di pace.
C'è una saggezza in queste rughe che sembra insopportabilmente giusta. E oltre la purezza della luce, posso aggiungere - c'è anche del dolore.
La cosa eccezionale è che si distingue, questo dolore. E se si pensa che sia perché i soggetti sono prede facili di un’iconizzazione del tema, basta vedere la Serie Maria sempre di Pinar Yolacan (2007).
Ecco che adesso abbiamo donne provenienti dalla regione di Bahia, quella parte del brasile che fu colonizzata dai portoghesi. E qui, la carne assume un altro valore: non si tratta più di età ma piuttosto di distinzione ed orgoglio, ma anche di sottomissione ed umiliazione, il colore della pelle e la pesantezza che suscitano questi oggetti di carne appesi quasi a rimuginare qualcosa. Maria come è facile immaginare è il nome portoghese più comune, e in Brasile quasi ogni donna ha Maria come uno tra i propri nomi. È soprattutto un riferimento alla Vergine Maria, un riferimento dunque al titolo di questa serie che sta quasi a sfidare il nostro pensare e collegare tale nome alla santità. Come a dirci - guardate questa carne cruda, scura e cercàtene la purezza.
Mi sembra che la Yolacan comunque non abbia un vero e proprio filo guida che la trasporti nel proprio lavoro, se non quello dello shock (intervista con l'artista QUI). Ma preferisco vederla come ricercatrice. Una profonda indagatrice su tutto ciò che la questione carne può dire di sé, e dove ci può portare a riflettere. E questo molto intuitivo e "non razionale" modo di lavorare è qualcosa che stimo profondamente. Perché se si è capaci di ascoltare con delicatezza, la propria sensibilità abbraccerà la questione in modo tale che questo lavoro potrebbe parlare le mille parole che non avresti mai saputo ascoltare.



Marco Pieraccini

4 commenti:

  1. Carne su carne, utilizzata per coprire con la sua nudità, la propria nudità, con una leggerezza tale che si confonde alla nostra vista.
    R.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Io lo trovo ributtante. Parlo da vegetariana. Io gli animali non li mangio, non li uso per vestirmi, e neppure per realizzare un'opera d'arte, quale che che sia il suo significato.
    Non lo posso guardare questo scempio. E' come se il cadavere di una donna vestisse il corpo vivo di un'altra.

    Antonia.

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  4. Infatti Antonia, ho scelto di scrivere su quest'artista proprio per la forza delle sue immagini. Positiva o negativa che sia, è potente. E non per altro inizio il post con la parola -violenza-

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