lunedì 28 febbraio 2011

Memorandum - Festival della fotografia storica nel 150° d'Italia


Raccontare l'Italia e i suoi ultimi 150 anni attraverso la fotografia, immagini giocate tra la realtà piu' secca e l'immaginario poetico. E' quanto fa la mostra Memorandum-Festival della fotografia storica che si terrà tra Torino (19 febbraio - 27 marzo) e Biella (26 febbraio - 27 marzo). In tutto 21 mostre (tra vintage, riproduzioni digitali e fotoproiezioni) provenienti da musei, fondazioni, archivi industriali, agenzie fotografiche, associazioni, privati. Immagini di autori che raccontano aspetti diversi della nostra storia e del nostro tempo con una particolare attenzione alla ricorrenza del 150° dell'Unità d'Italia.
Dopo il successo della prima edizione, con piu' di 20.000 visitatori tra Torino e Biella, l'Associazione Stilelibero, con Alessandro Luigi Perna e Fabrizio Lava che ne sono ideatori e curatori, ha deciso di proporre una seconda edizione, anche questa concepita da una parte per valorizzare milioni di immagini fotografiche storiche conservate negli archivi grandi e piccoli, noti e meno noti, italiani e internazionali, rendendoli ''visibili'' al grande pubblico, dall'altra per indagare come la fotografia, strumento artistico e di comunicazione per eccellenza, abbia registrato la realtà nei suoi molteplici aspetti a partire dalla metà del XIX secolo. Una mostra che vuole riportare alla luce del materiale ''nascosto'', ma anche avviare una discussione sul tema dell'archiviazione della nostra storia.
Il Festival si compone di 21 mostre (molte inedite) distribuite tra Torino e Biella, di uno spettacolo teatrale e di un workshop dedicato agli archivi fotografici delle fondazioni patrocinato da Acri (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa). A Torino la sede espositiva sarà il Museo Regionale di Scienze Naturali, a Biella le sedi saranno due, lo Spazio Cultura della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella e la sede espositiva della Fondazione Sella e Città Studi-Polo Universitario della città. Tra i partner e i fornitori delle mostra vi sono Fondazione Sella, Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, Fondazione Piacenza, DocBi, Centro Studi Biellesi, Fondazione Pirelli, Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino, Museo Nazionale del Cinema di Torino, Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo (Mi), Musei Civici di Pavia, Archivio di Stato di Biella, USA National Archives, Archivi Nasa, Centro Studi Generazioni e Luoghi - Archivi Alberti La Marmora, Royal Geographic Society, Archivio del Touring Club Italiano, Tips Images, Fototeca Storica Ando Gilardi. Oltre alle personali dei fotografi Cesare Colombo e Romano Cagnoni.
(Fonte ANSA)

sabato 19 febbraio 2011

Il Sesso del Rosso


In tutte le raffigurazioni dal '400 ad oggi, il colore rosso ha sempre rappresentato passione, inizialmente quella di Cristo, poi quella dell'uomo.

Tra le due guerre mondiali però, con l'afflusso di nuove correnti, sono molti gli artisti che utilizzarono questo colore con una forza e un impeto nuovo. Se prima il rosso stava solo a “simboleggiare” la passione, ora è sangue fuori dal corpo, è carne spiattellata in faccia all'osservatore, che assiste a questa eviscerazione impassibile, ma soprattutto diventa un turbinio di passione sessuale incontrollabile.
E' soprattutto tra le guerre che i rossi si prendono maggior carico di forza, passando in poco da violenze umane a passione sessuale, come possiamo riscontrare ad esempio in alcune opere di Otto Dix (img.
Ritratto della Ballerina Anita) e di Edvar Munch (img. Il vampiro) di quel periodo, passando poi per delle opere di Francis Bacon e Lucian Freud, che ci propongono degli spaccati dove il rosso della carne fa da padrone, e ponendosi come padrini della contemporanea Jenny Saville che ci propone mutazioni androgine del corpo mezzo uomo e mezzo donna.

Se nell'ultimo novecento quindi, la modella rappresentata sopra un drappo rosso nello studio di Renato Guttuso (img. Donna nuda nello studio) ci conduce ad un sottofondo che sottolinea la carnalità sessuale, si trasforma presto in figura rossa con la contemporanea Marlene Dumas (img. Julie die vrou), dove gli occhi ammiccanti restituiscono la richiesta intuibile fatta dall'immagine raffigurata.

Oggi vedere del rosso in opere d'arte pittoriche non può che farci risalire per preconcetti al sangue e sesso.














IMG: Munch, vampire
Otto Dix, ritratto della ballerina Anita
Guttuso, donna nuda nello studio
Marlene Dumas, Jule Die Vrou 

Rafael Vindigni




giovedì 10 febbraio 2011

André Kertész: Fotografia "di stomaco"

(Budapest, 2 luglio 1894 – New York, 28 settembre 1985)




Ungherese di nascita, passa ancora ragazzo per Parigi per poi finire nel 1985 la sua carriera a NewYork.
Con il suo stile estremamente minimalista e semplificato scopre un elemento della fotografia che oggi diamo per scontato ma che all'epoca non fu per nessuno: un'immagine che "funziona" colpisce prima allo stomaco, al cuore per finire poi alla testa e dentro agli occhi. Situazioni estremamente semplici quelle ritratte da Kertész, talune geometrie (nelle quali mi ritrovo molto), altre situazioni ben più colme di "umano", una tecnica di appostamento dall'alto che ricorda molto certi scatti rubati di Doisneau (che molto probabilmente subì un po la sua influenza) da una finestra affacciata sulla semplice vita di quartiere. Un ritrattista della vita di tutti i giorni in tutta la sua semplicità che fa della strada il suo sipario, dimostrandoci come qualsiasi aspetto della vita dal più banale al più importante, meriti di essere fotografato.
Dai suoi scatti traspare un carattere introverso alla ricerca del dettaglio in/significante; gioco di parole, questo, dovuto alla in/capacità dell'osservatore nell'approfondire l'aspetto più intimo dell'immagine che Kertész ci suggerisce attirando l'attenzione su questo o quel particolare. In modo che ognuno trovi il proprio gusto nell'assaporare quell’attimo, quello spaccato di vita a modo proprio.
Non molto considerato oltreoceano, finirà col ritrarre tetti e camini del suo quartiere, affacciato a quella finestra del suo appartamento che diventerà sinonimo di una solitudine consumata tra la ricerca e la consapevolezza di una propria e forte autonomia.
Molto esaustiva di questa sua condizione finale il suo ultimissimo ritratto che disegna una figura umana dietro un vetro opaco intento ad osservare l’orizzonte di un mare increspato.
Senza mai eccedere, senza mai concedere nulla alla voglia di colpire ad ogni costo questa sua celatezza è stata la grande dote che lo ha reso quel Kertész di cui addirittura Henri Cartier-Bresson disse: "Tutto quello che abbiamo fatto, Lui l’ha fatto prima".




Marco Pieraccini

domenica 6 febbraio 2011

Psike intervista Fidia Falaschetti

Sei febbraio duemilaundici, ultimo giorno per visitare la nostra esposizione e vi lasciamo con le parole di Fidia.

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Tutto si spiega. E’ un modo di dire, un intercalare dialogativo quando tasselli disparati confluiscono in un insieme che assomiglia ad un tutto. Hai mai avuto questa sensazione all’inizio o durante il tuo percorso artistico?

So che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda ma, che tipo di droghe usate quando preparate le interviste?
Devo dire che mi trovo in difficolta’: se rispondessi “blinda come se fosse antani?
Provando ad entrare nella lisergia del quesito, provo a rispondere dicendo che mi reputo un antifatalista conclamato: sono decisamente convinto che il destino sia un potentissimo oppiaceo, ottimo per  evitare il confronto con l’attualita’, con i coglioni belli esposti al sole.
Tutto si piega, prima di essere indossato, e poi si [s]piega quando lo si veste. Lo si acciacca, suda, sporca, in soldoni lo si vive.
Vestire, agire, trovare relazioni e connessioni e’ un compito importante per chiunque decida di non assuefarsi all’ovvieta’.


Doveva essere un re, invece è un fante. Non è una domanda, ti chiedo un’interpretazione libera.

Peccato: avevo il re bello, ed era anche scopa!
Ma se poi “scopo” toppo rischio di assomigliare a qualcuno che ne ha fatto un orgoglio nazionale, ergo, ringrazio il fante e gli suggerisco di non affligersi: la rivoluzione culturale comincia dal basso!           


L’opera a cui assomigli, tua o di qualsiasi altro artista.

Da pochi giorni ho cominciato a cucirmi addosso un vestitino piuttosto slim. E’ il racconto immediato dei 365 giorni che precedono il parto di un lavoro prima, e la crescita dello stesso nel suo ambiente poi. E’ un taccuino che narra la storia del “bimbo/opera” dalla causa al suo effetto, dal concepimento al suo debutto in societa’.  Il percorso comincia a Bali, Indonesia, e si chiudera’……… Tutto, in diretta, giorno per giorno, fino alla sua dissoluzione. Tutto online sul blog 365. IL DIARIO DEL BOLIVIA IN CHE …guerriglia contemporanea.

IMG: Trittico del GI-OTTO, Fidia

sabato 5 febbraio 2011

Psike intervista Marco Pieraccini

Splende il sole su Firenze, forte come un cazzotto.
Riuscissimo a fermarlo questo tempo, questa luce. C'è chi lo fa da qualche anno con tanta passione e una buona dose di precisione, e noi andiamo a porgli le nostre, ormai conosciute, tre domande.
Marco Pieraccini, fotografo fiorentino, è presente all'esposizione di Psike con il "Trittico del libero arbitrio".
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Tutto si spiega. E’ un modo di dire, un intercalare dialogativo quando tasselli disparati confluiscono in un insieme che assomiglia ad un tutto. Hai mai avuto questa sensazione all’inizio o durante il tuo percorso artistico?

L'intercalare dialogativo tra pensieri o frammenti di essi è una nebulosa che nel suo ordinato caos genera l’Idea. Geniale o meno che sia sarà fatta d’un accento di colore una parola d’ombra una linea ricurva una prospettiva spezzata una gamma tonale mancata e poi finalmente riacciuffata. E mentre il tutto è sublimato dall’assenza di una virgola niente continua a spiegarti perché tutto-ciò sia inspiegabilmente equilibrato. In questo sta il genio dell’Arte?


Doveva essere un Re, invece è un fante. Non è una domanda, ti chiedo un’interpretazione libera.

E’ proprio in questo la bellezza dell’atto creativo.
Quando la mente gravida partorisce una sensazione, non sa mai fin dove la farà viaggiare quella mano che dovrà materializzarla fisicamente. A volte anche soltanto l’evoluzione che ho nell’approccio all’opera tra il suo inizio e la fine fa si che anche il più insignificante dei dettagli venga modificato cambiando il senso del tutto; così ciò che in me era intimamente concepito come Re, a voi appare fante.


L’opera a cui assomigli, tua o di qualsiasi altro artista.

Baiser de l'hôtel de ville, Doisneau.
Questo né per voler citare per forza un grande, né perché sia incline a preferire il classico a tutti i costi.
Semplicemente perché io sono dentro quell’immagine almeno quanto lei è dentro di me e perché solo chi mi segue sa quanto io abbia sperimentato e continui a fare con il tema del movimento in fotografia. Ho sempre avuto la “mania” di sforzarmi a restituire, con il movimento, quell’elemento di cui da sempre la fotografia è simbolo: la capacità di congelare il tempo in un istante.
Questo mio percorso è guidato dal desiderio di abbattere tale confine, cercando di espandere un frammento di tempo per farlo viaggiare negli occhi dello spettatore fino ad un istante dopo la percezione dell’immagine.


IMG: Baiser de l'hôtel de ville, Doisneau.

venerdì 4 febbraio 2011

Psike intervista Keziat

E mentre la mostra riapre anche per questo fine settimana, andiamo a conoscere ed interrogare Keziat, indubbiamente un'artista visionaria.

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Tutto si spiega. E’ un modo di dire, un intercalare dialogativo quando tasselli disparati confluiscono in un insieme che assomiglia ad un tutto. Hai mai avuto questa sensazione all’inizio o durante il tuo percorso artistico?

Nel 2009 ho cominciato a sperimentare anche il video come mezzo di espressione artistica. Non l’avevo mai fatto prima, anche se era in progetto da anni, e nel realizzare il mio primo cortometraggio “Memoria di un folle” ho provato proprio questa sensazione: unire migliaia di disegni in sequenza per formare un tutto, che trasmettesse fino in fondo il mio incredibile micro mondo visionario.

In generale quando lavoro su una nuova opera provo sempre una sensazione simile perché all’inizio sono totalmente influenzata da forze emotive contrastanti, ricordi e stati d’animo legati anche al mondo che mi circonda. E solo quando è completamente finita capisco di aver concretizzato tutto ciò che avevo in testa.


Doveva essere un re, invece è un fante. Non è una domanda, ti chiedo un’interpretazione libera.

A volte quello che vediamo non è ciò che sembra. Mi fa venire in mente il mio approccio ambiguo con il mondo reale. Vivendo infatti sempre un pò tra la realtà e l’immaginazione mi capita spesso di vedere la stessa cosa in due modi differenti. Una è quella reale, l’altra è una mia interpretazione.Il mio lavoro è pieno di questi capovolgimenti di ruoli perché mi piace molto decontestualizzare tutto per ricostruire all’infinito. Scavare all’interno delle cose per svuotarle del loro significato e nello stesso tempo trovarne altri diversi. Ed è così che l’essere subisce infinite metamorfosi.


L’opera a cui assomigli, tua o di qualsiasi altro artista.

In generale, tutte le mie ultime opere mi assomigliano e rispecchiano esattamente quello che sono io, in quel periodo della mia vita. Le considero una mia proiezione, un mio prolungamento.






IMG: "memoria di un folle" -"Seduto su un albero" - "l'albero dei sogni":particolari - Keziat.

martedì 1 febbraio 2011

Psike intervista Francesco Gallo

Francesco Gallo è presente alla mostra "La differenza tra l'inferno e il paradiso è nell'uso dei cucchiai" con l'opera Re-Azioni, trittico di fotografia digitale.
Tarantino di origine, insediato a Firenze, è stato tra i finalisti del Premio Celeste 2010.
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Tutto si spiega. E’ un modo di dire, un intercalare dialogativo quando tasselli disparati confluiscono in un insieme che assomiglia ad un tutto. Hai mai avuto questa sensazione all’inizio o durante il tuo percorso artistico?

Mai avuto la piena consapevolezza di niente. Quando l'emisfero destro del mio cervello concepisce un'immagine essa viene dettata da un bisogno, da un istinto, dalla necessità di realizzazione visiva. Qualsiasi input esterno può interessarmi, un suono, un colore, un volto. Ma quando mi trovo davanti all'immagine finale ecco ricomporsi pezzi della mia persona, delle esperienze mie e di chi mi sta vicino, è come una retina sottile con cui passare al setaccio sogni e bisogni della mia specie. Poi guardare all'interno e vedere cosa rimane, impastare il tutto con una buona dose di respiro e spargere il risultato su carta. E' solo una ricetta.

Doveva essere un Re, invece è un fante.  Non è una domanda, ti chiedo un’interpretazione libera.

Vedo una scacchiera. Il fante muove in diagonale, il Re solo dritto davanti a sé oppure torna sui propri passi. A volte la scelta di percorrere strade meno "convenzionali" premia e porta alla vittoria. Non importa la potenza di fuoco dell'avversario, fondamentale è la strategia: saper attendere e colpire al fianco. Fare Arte, tentare... nell'era dell'immagine è usare tecnica, strategia. Idee. 


L’opera a cui assomigli, tua o di qualsiasi altro artista.

Non esiste mai UN'opera. Ma esistono frammenti di opere. Guardo a me come una tela di Valls, una qualsiasi, con i colori di Hussar e i graffi di Nerdrum.



IMG: D. Valls; O. Nerdrum; M. Husser